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Lulù Courage

Buio
Accendo stellina con prospero o accendino. Brucia e splende, una volta spenta la butto in secchio d’acqua.
Al buio dico
- Che schifo!
Luce.
- La scintilla è spenta. Al suo posto, fiamma di licopodio. Fiamma da palcoscenico, buona nemmeno ad accendere una pipa. (Pausa) Il mondo muore.
Pausa.
Eja popeia che cosa fruscia fra la paglia (3 sussurrato e in crescendo)
I Teatri sono vuoti, il pubblico non ci va. La colpa è tutta dello Stato.
Perché non si istituisce il teatro dell’obbligo?
Se ognuno sarà costretto ad andare a teatro, le cose cambieranno immediatamente.
Perché credete che abbiano istituito la scuola dell’obbligo?
Nessuno scolaro andrebbe a scuola se non fosse costretto ad andarci.
Per il teatro, anche se non è facile, forse si potrebbe fare lo stesso.
Con la buona volontà e il senso del dovere si ottiene tutto.
Non è forse vero che anche il teatro è una scuola?
Si potrebbe istituire il teatro dell’obbligo a cominciare dai bambini.
Cento scuole in ogni grande città, mille ragazzi al giorno in ogni scuola, fa in totale centomila ragazzi.
Centomila tutti i giorni: mattina a scuola, pomeriggio a teatro.
Ingresso per ogni singolo bambino, 1 marco, ovviamente a spese dello Stato, come dire cento teatri da mille posti…quindi mille marchi per teatro fa 100.000 marchi per cento teatri.
Pensate per quanti attori si creerebbero così delle occasioni di lavoro!
Istituito a livello regionale, il teatro dell’obbligo costituirebbe un motivo d’incremento per l’intera economia.
Non è davvero la stessa cosa dire: Ci vado stasera a teatro?
Oppure: Oggi devo andare a teatro.
Con l’obbligo del teatro ogni cittadino rinuncia spontaneamente a tutti gli altri divertimenti serali che servono solo a perdere tempo.
Il cittadino sa che andare a teatro è un suo dovere.
Non è più necessario che scelga lo spettacolo tale o talaltro.
Non ha più dubbi del tipo: ci vado o non ci vado stasera a vedermi Lulù Courage….
No! Ci deve andare per forza, perché è suo dovere.
E’ costretto ad andare a teatro 365 volte l’anno, che il teatro gli faccia schifo o no.
Anche a uno scolaro fa schifo andare a scuola, ma ci va volentieri perché è suo dovere.
Obbligo! – Solo con la costrizione oggi si può costringere il pubblico ad andare a teatro.
Decenni di buone parole sono serviti a ben poco.
Le offerte più allettanti, quali platea riscaldata…oppure, durante l’intervallo è possibile fumare all’aperto…oppure, sconto studenti…!
Tutte queste facilitazioni non sono riuscite a riempire i teatri.
La pubblicità, che per un grande teatro assorbe migliaia di euro, nel teatro dell’obbligo viene del tutto abolita. Lo stesso vale per i prezzi dei biglietti.
I posti non sono più suddivisi secondo il censo, ma a seconda delle infermità e degli acciacchi degli spettatori!
Prima quinta fila di platea: sordastri e miopi
Sesta decima fila di platea: ipocondriaci e nevrastenici.
Undicesima quindicesima fila di platea: dermopatici e depressi.
Tutti i posti di balconata e galleria sono messi a disposizione degli asmatici e dei gottosi.
In una città come Berlino – tolti i lattanti e i bambini sotto gli otto anni, malati in stato di degenza e vegliardi- ci sarebbero così ogni giorno circa due milioni di spettatori teatrali obbligatori, cifra che supera di gran lunga l’attuale cifra di spettatori volontari.
Nel caso diventasse operante la proposta della Ufto, Universale frequenza teatrale obbligatoria, costringendo due milioni di persone ad andare quotidianamente a teatro, in una città come Berlino, dovrebbero esserci a disposizione venti teatri da centomila posti.
Oppure quaranta teatri da cinquantamila posti.
Oppure centosessanta teatri da dodicimilacinquecento posti.
Oppure seicentoquaranta teatri da tremilacentoventicinque posti.
Oppure due milioni di teatri da un posto.
Quale fantastica atmosfera si venga poi a creare in una sala gremita di cinquantamila spettatori, ogni attore può dirlo.
Soltanto con simili grandiosi strumenti di potere è possibile rimettere in piedi i teatri vuoti!
Non certo con i biglietti gratuiti, no: l’unico sistema è l’obbligo, e il potere di obbligare il cittadino ce l’ha solo lo Stato.
Buuuuuuuuuu! Di Courage
A Baden una ragazza venne
Brigitte B era chiamata
Un posto in un negozio ottenne
E molto qui era stimata
Anziana era la padrona
S’interessava degli affari
Ed il marito era allora
Fra i più elevati funzionari
Mio Dio, mio Dio!
Diradiradondadiradiradondadiradiradonda nda nda nda
Un giorno dopo aver cenato
Lei disse alla ragazza stessa
Un pacco presto va portato
Fuor di città alla baronessa
Però Brigitte per la strada
Un individuo incontrò
Che quella cosa chiese sola
Sennò il suicidio minacciò
Mio Dio, mio Dio!
Diradiradondadiradiradondadiradiradondandandanda
Brigitte giovane e inesperta
A lui si diede per pietà
Ed egli poi si prese in fretta
Il pacco senza urbanità
Brigitte non riuscì a capire
Piangendo a casa confessò
Di non aver saputo reagire
E a ciò Madame non obiettò
Mio Dio, mio Dio!
Diradiradondadiradiradondadiradiradondandandanda
Ma il fatto che fosse sparita
La roba per la baronessa
Questo sì l’avea ferita
Di liberarsene ebbe fretta
Brigitte si gettò ai suoi piedi
E a quanto pare si pentì
Ma poi la sera vedi vedi
Con l’individuo suo dormì
Mio Dio, mio Dio!
Diradiradondadiradiradondadiradiradondandandanda
E quando in viaggio poi la coppia
Con la corale se ne andò
Senza pensar che il troppo stroppia
Ancora a casa lo invitò
Lui tutto si fece mostrare
La scrivania e pure la cassa
E senza neanche ringraziare
Di tutto poi fece manbassa
Mio Dio, mio Dio!
Diradiradondadiradiradondadiradiradondandandanda
Brigitte quando si accorse
Del colpo fatto dal suo amante
Ben sospettando la sua sorte
Se ne fuggì tutta tremante
Lei l’hanno presa l’altroieri
E il luogo io non vi dirò
Al giovanotto invece ieri
La stessa sorte capitò
Mio Dio, mio Dio!
Diradiradondadiradiradondadiradiradondandandanda
Bene! Potrebbe finire qui, Lulù, no? Dite, anche basta!
Ma Courage vuole voce, l’ultima a parlare.
Courage ne ha viste tante, la guerra, i morti, tutti figli suoi.
Eppure non si rassegna al mondo com’è, Courage.
Vorrebbe dire tutto il male che le fa.
Ma Courage è madre, e sceglie la vita, l’annusa nell’aria. (Annuso).
Odor di foresta che cresce, sì! Sì, fruscio di foresta che cresce.
Scegliere fra il male del mondo e la bellezza della vita, un enigma da niente.
(Annuso) E’ vita, Courage: ringoia tutto il male del mondo e, alchimia delle sue viscere, (sputo) risputa oro, come il ciuco di pelle d’asino.
Canta Courage, canta la vita, il bello di esserci.
Un letto abbiamo
Un figlio abbiamo, donna
E anche un lavoro per tutti e due
E abbiamo la pioggia e sole e vento
Quel che ci manca è solo un niente
D’esser liberi
Come uccelli
Solo tempo
Domenica quando andiamo in campagna, figlio
E sopra le spighe volteggiano blu
Gli stormi di rondini alti su noi
Non son le piume che ci mancano
D’essere belli come uccelli
Ma il tempo
Si sente nell’aria odor di tempesta, popolo
Ancora una piccola eternità
E niente ci manca, o figlio caro
Se non il frutto del lavoro
D’esser lieti
Come uccelli
Solo tempo
(Duetto o con Beatrice dal pubblico, o con Gianni alle luci)
- Tempo, voglio tempo! Avrebbe un po’ di tempo? Allora venga con me
- Dove?
- Da qualche parte
- Ah, ma lì ci sono già stato!
- Ah sì?
- Sì, sì!
- Davvero c’è già stato?
- Sì, tante volte
- Già, allora non c’è ragione. Pensavo che lei non ci fosse mai stato
- No no, finora proprio mai…no
- Mi scusi tanto, non lo sapevo
- Naturale, non poteva mica saperlo
- No, non volevo dir questo… Anche Courage non c’è mai stata
- Neanche Courage?
- No
- Da Courage non me lo sarei mai aspettato. Così non c’è mai stata neanche lei?
- Bè, non posso dirlo con certezza, forse una volta si sarà stata
- Può darsi
- Courage è fatta così, quando dice che va in un posto è anche capace di andarci
- E allora lei ci è andato?
- Sì, ma non mi sono fermato molto
- E’ piuttosto lontano
- E’ quel che dico anch’io. Cosa mi serve? Tutto tempo sprecato
- Giustissimo! Il tempo è denaro!
- No, mica vero. Io tempo ne ho, ma denaro no. Se avessi tanto denaro quanto tempo avrei più denaro che tempo
- Però non avrebbe più tempo di venire da qualche parte con me
- Eh no, in quel caso no. Però oggi un po’ di tempo ne avrei.
- Avrebbe un po’ di tempo? Allora venga con me!
Luce postazione. Vado e arrivo in silenzio.
Di notte sempre per la strada
La stessa bimba lercia e magra
Che implora nel suo gran pallore
Cinque marchi signore (3)
Per me
Io dolcemente l’ho scostata
Ma lei si è più avvicinata
Gonfia come un’ombra enorme
Cinque marchi signore (3)
Per me
Addio la bara s’avvia lenta
La segue l’amor suo e una vecchia
Zoppa che urla e si lamenta
Cinque marchi signore (3)
Per noi
Poi l’han buttata nella fossa
E lui ha gettato sulla cassa
Pel viaggio verso il buio fondo
Cinque marchi signore (3)
Per lei.
Luce, postazione. Vado e arrivo. Sto. Courage inizia a brontolare, dico:
- Fa così quando ha fame
Pausa
- Hai fame Courage?
Riprende borbottio più insistito, quasi che lo strumento prendesse il sopravvento.
- Se non hai fame, cosa vuoi?
Lungo accordo melodico.
- Ah! Parlare. E sia!
Stridio di protesta di Courage.
- No? Non vuoi parlare?
Courage dice no.
- Non hai fame non vuoi parlare: cosa vuoi?
Lungo accordo melodico
- Mmh, mi sa di cosa struggente…
Courage dice sì.
- Vuoi forse ricordare Courage?
Courage dice sìììììììì
- Contenta!! Che cosa, che cosa ricordi?
Che nonostante tutto il male fatto visto e patito, c’è qualcosa nell’intimo di ciascuno, che si aspetta sempre del bene. E’ il sacro in ogni essere umano.
- Sei saggia, Courage. Da dove tanta sapienza?
Da giorni infelici? Che dici? Al bando la tristezza, Courage. Canta, canta la tua vecchia canzone, Courage.
Sì è vero mia zia l’ho scannata
Era vecchia e debole
E a frugare le casse son stata
Una sera che lei m’ospitò
Ho trovato dell’oro nascosto
E denaro in gran quantità
L’ascoltavo ansimare al suo posto
Ma di lei non sentivo pietà
A che serve che lei soffra ancora
Quella notte intorno a me
La sventrai col coltello allora
E ansimare lei più non poté
Il denaro era molto pesante
Ma la zia ancora di più
L’ho afferrata pel collo tremante
E ficcata in cantina fin giù
Sì è vero mia zia l’ho scannata
Era vecchia e debole
Ma o giudici or voi minacciate
Il fior fior della mia gioventù!
Buio. Luce, postazione. Vado, dico:
Lentamente sfilo Courage, in tasca, burattino, sempre lenta lo calzo:
- Papà papà! Papà è vero che la guerra è pericolosa?
- Certo, è la cosa più pericolosa che ci sia
- E allora perché fanno sempre la guerra se è così pericolosa?
- Mah! Tutti dicono che finché ci saranno uomini ci saranno guerre
- Papà, è vero che quando un re o un imperatore offendono il re o l’imperatore di un altro Paese scoppia la guerra?
- Piano, piano non è mica così semplice. Prima ci vuole il parere dei ministri della guerra e del consiglio di guerra.
- Allora se il ministro della guerra vuole la guerra, la guerra scoppia?
- No. Prima viene convocato il Parlamento e poi i partiti decidono per la pace o per la guerra.
- Partiti? Per dove?
- Scioccone! I partiti politici, eletti dal popolo
- Allora lo chiedono anche al popolo se vuole la guerra o no?
- No, il popolo sono i partiti: come farebbe a starci un popolo di sessanta milioni nel palazzo del Parlamento? Per questo il popolo ci ha i suoi rappresentanti
- Dì un po’ papà, lo chiedono anche ai soldati se vogliono la guerra?
- Ma no, figurati se lo chiedono ai soldati! Loro hanno l’obbligo di andare in guerra appena la si dichiara.
- Papà, è vero che i fucili, i cannoni, le bombe e tutto quello che serve per la guerra lo fa fare l’imperatore?
- Naturalmente
- E costa un sacco di soldi, vero papà?
- Certo, costa molti miliardi
- L’imperatore può pagare perché è ricco
- Certo che è ricco, è l’uomo più ricco del paese!
- E come ha fatto a diventare così ricco?
- Perché c’è il popolo, per le tasse che ha pagato il popolo
- Ma non è mica ricco il popolo
- No, non è ricco, ma quello che conta è la massa. Se ciascuno dei sessanta milioni di individui paga anche solo un marco di tasse l’anno, ecco che sono già sessanta milioni di marchi!
- Allora i sessanta milioni sono dell’imperatore?
- No, sono dello Stato. E lo Stato, ne dà un po’ anche all’imperatore, qualche milione, tanto da vivere bene lui e la sua famiglia.
- Qualche milione? Ma tu, papà, che fai l’operaio non guadagni così tanto, vero?
- Eh no, io in un anno non arrivo neanche a duemila marchi.
- Però quando facevi l’operaio nelle industrie belliche guadagnavi di più eh?
- Sì, ma solo in tempo di guerra
- Ma allora per il guadagno non andava tanto male la guerra?
- Bè insomma, però…
- Però cosa?
- Sarebbe meglio guadagnare di meno ma vivere in pace.
- Sì papà, ma se tu e gli altri operai non lavoraste nelle industrie belliche non ci sarebbero armi. Ci sarebbe sempre la pace, perché senza le armi la guerra non la si può fare
- Sì, sì hai ragione ma allora gli operai di tutto il mondo dovrebbero essere della stessa idea
- E perché non lo sono?
- Eh figlio mio, sei ancora troppo piccolo e anche se te lo spiegassi non capiresti. Vedi, gli operai sono truffati dai capitalisti.
- Come truffati, cosa significa?
- Significa che si crea artificiosamente una disoccupazione e dopo qualche anno, quando la disoccupazione ha raggiunto il culmine, la guerra è già vicina.
- E allora cosa succede?
- Allora si cercano di nuovo gli operai
- E saranno contenti di trovare ancora lavoro
- Sì allora molti milioni di operai lavorano di nuovo nelle fabbriche e fanno i pezzi per cinque milioni di macchine da cucire
- Macchine da cucire? A cosa servono in guerra le macchine da cucire?
- E’ quel che si dà da bere agli operai. La verità è che fabbricano mitragliatrici
- E gli operai ci credono? Anche tu l’hai bevuta?
- Eh no, io l’ho capito subito che sarebbero diventate armi per la guerra!
- E allora perché non hai scioperato?
- Non posso mica scioperare da solo! Semmai dovrebbero entrare in sciopero gli operai di tutto il mondo e non dovrebbero più costruire armi. Così sì che la si farebbe finita con queste dannate guerre!
- E perché gli operai non scioperano?
- Ragazzo mio, quante sciocchezze dici! Se io, dopo la grande disoccupazione, non avessi lavorato nelle industrie belliche, noi la mamma tu ed io saremmo morti di fame, e come noi tutti gli altri operai.
- Va bene, hai lavorato, ma anche oggi sembra che siamo lì lì per morire di fame…
- Non siamo a questo punto
- Ma se venisse un’altra guerra tu lavoreresti ancora nelle industrie belliche?
- Cosa vuoi che ti dica, se ci imbroglieranno ancora andrà come nell’ultima guerra
- Ma papà se le cose stanno come dici tu, non ci sarà mai pace al mondo
- Mai. E infatti si dice: finché ci saranno uomini ci saranno guerre
- Uomini? No, papà si dovrebbe dire finché ci saranno operai…
- No. Bisogna dire: finché ci saranno simili truffatori a imbrogliare gli operai, ci saranno sempre guerre.
- Allora la guerra c’è perché ci imbrogliano?
- Sì, è così. E questo imbroglio lo chiamano capitalismo…
- Ma non lo si può eliminare?
- No! Solo con le bombe atomiche che distruggono tutto il mondo!
- Già, papà ma il punto debole è proprio questo: alla fin fine chi è che le fa quelle bombe?
- Gli operai, naturalmente
- Ma se gli operai di tutto il mondo fossero d’accordo ci sarebbe ancora la guerra?
- No. Ci sarebbe per sempre la pace
- Ma non si metteranno mai d’accordo vero?
- Mai!
A vista mi sfilo burattino, lo ripiego e metto in tasca.
Sempre in silenzio abbraccio Courage e mi accomiato da lei.
Mi stropiccio la faccia fino a creare l’urlo di Munch. Dalla deformazione alla levità. Sto. Dico:
Venite qua, marmocchi!
C’era una volta un povero bambinello e non aveva né babbo né mamma, tutti erano morti e non c’era più nessuno al mondo.
Tutto era morto, e il poverino si mise a camminare e cercò giorno e notte.
E siccome sulla terra non c’era più nessuno, gli venne in mente di andare in cielo, e la luna lo guardava tanto gentile; e come finalmente arrivò sulla luna, era un pezzo di legno marcio.
Allora andò dal sole, e quando arrivò sul sole era un girasole appassito.
E come andò sulle stelle, erano dei moscerini dorati, che stavano infilzati sul cielo, come li infilza sugli spini col becco l’avèrla rossa.
E come volle ritornare sulla terra, la terra era un porto demolito.
E lui era rimasto solo solo, allora s’è seduto e s’è messo a piangere, e sta ancora solo in un cantuccio e piange.
Gianni – Lulù?
Lulù – Che c’è?
Gianni – Lulù, andiamo, è ora.
Lulù – Ma dove?
Gianni – Che ne so? Su, andiamo!
Lulù – Ho paura.
Gianni – Di che?
Lulù – Del Paradiso.
Avevo solo quindici anni
Ero innocente e pura
E appresi quali dolci gioie
L’amore ci procura
Mi prese per la vita e rise
E disse che felicità!
Mentre la testa piano piano
Mi rotolava sul sofà
Io tutti li amo da quel giorno
La Primavera è esplosa in me
E quando più non mi vorranno
La morte lieta guarderò
Buio, cantando raggiungo Gianni.

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