Tre
sorelle, anzi due
1° stanza, nel camino, un candelabro acceso
Tavola al centro con su tovaglia bianca; quattro
sedie, su di una, la bambola di pezza, è Mascia, la mancante. E siccome manca,
Olga la riprende a più riprese scuotendola e sibilando:
“Sta composta, Mascia!”
“Stai attenta, Mascia!”
“Sta dritta, Mascia!”
Olga e Irina imbandiscono la tavola per quattro, in
silenzio; compare sulla porta di mezzo Andrej, anticipato dalla sua musica, giggioneggia
un po’ con le due che restano indefesse nel loro compito; poi spegne secco
macchina e dice:
Andrej – Ci dimenticheranno. E’ il destino dell’uomo;
niente da fare. Cose che a noi sembrano serie, oggi, importanti, sublimi,
domani, non le ricorderà più nessuno, faranno ridere. E il bello è che se ci
domandiamo che cosa sarà domani importante e sublime e che cosa meschino e
ridicolo, noi non lo sappiamo. La scoperta di Copernico, per esempio, o quella
di Colombo non parvero in un primo tempo inutili e ridicole? Mentre le
fanfaluche di qualche stravagante passavano per verità di vangelo? E la nostra
vita di oggi? Noi la troviamo sopportabile, ma forse col passare del tempo
sembrerà strana, scomoda, stupida, sordida e, forse, perfino, moralmente
ripugnante.
Un tempo, indi Olga sbotta contro Mascia:
Olga – Quanto sei stupida, Mascia! Sei la più stupida
della famiglia. Abbi pazienza!
Irina sbotta a sua volta, e dice:
Irina – Vendere tutto qui, casa, tutto e via, a Mosca,
a Mosca, a Mosca!
Irina scappa nella
2° stanza e si siede al centro, è seguita da Andrej
che riaccende il suo marchingegno, dopo aver esclamato un
Andrej – Sììììììììììììììììììììì!
Olga si muove per ultima, ha con sé Mascia alla quale
chiede, quando è sotto la porta di mezzo:
Olga – Che fai, Mascia, piangi? Sciocca!
Poi, rivolta ad Andrej dice
Olga – Vuoi far piangere anche me?
Andrej spegne marchingegno e dice:
Andrej – Chi sa? Può darsi invece diranno che la
nostra vita è nobile e alta. La ricorderanno con rispetto. Oggi non c’è più la
pena di morte, però quanta corruzione, quante sofferenze ancora…
Andrej risuona marchingegno, giggioneggia ancora con
Irina e Olga, finché quest’ultima non lo zittisce
Olga – Basta, su, basta!
Andrej spegne
Olga – Stanotte non ho dormito, sono un po’, come si
dice, sbalestrata. Ho letto fino alle quattro, poi ho provato a dormire: niente
da fare. Un pensiero tira l’altro, qui fa giorno presto, una volta che il sole
entra nella stanza, addio. Poi quest’emicrania, quest’emicrania!
Olga s’avvicina a Irina che le porge una spazzola e
una benda e lei le affida Mascia, poi la pettina e dice:
Olga – Dov’è andato il mio passato? Dove sono spariti
i bei tempi? Quando ero giovane, allegra, intelligente; quando avevo grandi
ambizioni, pensieri elevati e il mio presente e il mio futuro erano illuminati
dalla speranza?
Irina le risponde:
Irina – Che bello oggi. Non so perché mi sento una
gran luce dentro. Stamattina mi sono ricordata che era il mio onomastico e mi
sarei messa a saltare dalla gioia. Mi sono rivista bambina, quando era ancora
viva la mamma, e mi sono commossa.
Olga riprende:
Olga – Quest’emicrania! Perché appena cominciamo a
vivere diventiamo noiosi, grigi, gretti, pigri, indifferenti, incapaci e
infelici? La nostra città esiste da duecento anni, ha centomila abitanti, non
uno che si distingua dall’altro: tutti uguali. In duecento anni non un santo,
un artista, non uno che si sia messo in luce, che abbia suscitato invidia, o
spinto altri a emularlo…Non fanno che mangiare, bere, dormire e alla fine
crepare, e mettere al mondo altri che a loro volta mangiano bevono dormono; e
per non abbrutire nella noia, condiscono la loro esistenza con i loro ignobili
pettegolezzi, la vodka, il gioco, intrighi, imbrogli, truffe di ogni genere; le
mogli ingannano i mariti, e i mariti, mentendo, fanno finta di non vedere, di
non sapere, e fatalmente la loro influenza malefica si trasmette ai figli, e li
soffoca, e spegne in loro qualsiasi scintilla divina, finché non diventano,
anche loro, miserabili cadaveri ambulanti, tutti uguali uno all’altro, come i
loro padri e le loro madri…
Irina risbotta
Irina – Vendere tutto qui, sì, tutto, e via, a Mosca,
a Mosca, a Mosca!
Irina scappa nella terza stanza, prima lascia Mascia a
Andrej
Nella stanza di mezzo, Andrej dice:
Andrej – A quattr’occhi sono normale come tutti. Se
c’è un po’ di gente, divento timido, scorbutico…e dico sciocchezze. Eppure sono
migliore, più onesto di tanti altri! E posso dimostrarlo.
Olga – A volte mi esasperi con quel continuo
punzecchiarmi di fronte agli altri, ma in fondo, non so neanch’io perché, mi
sei caro! Allegria! Beviamo!
Andrej – Beviamo!
Olga – Non ti crucciare Andrej, Dimentica, dimentica…
Andrej - Nostro padre, pace all’anima sua, ci ha
oppressi con la sua mania dell’educazione. Quando è morto, sarà sciocco,
ridicolo, ma e così, ho cominciato a dimagrire. Come se il mio corpo si fosse
liberato del peso che lo schiacciava. Grazie a nostro padre sappiamo l’inglese,
il francese e il tedesco, Irina (va verso la stanza dov’è Irina) sa perfino
l’italiano. Ma quanto c’è costato!
Olga – Dimentica, dimentica!
Nella terza stanza, Irina, bendata, chiude la
finestra, si gira e dice:
Irina – Stamattina mi sono svegliata e di colpo ho
visto chiaro. Ho visto il mondo com’è, e come bisogna vivere. (si sposta sulla
soglia del boudoir, si sbenda e dice): Cari miei, so tutto. L’uomo, di
qualsivoglia classe, deve lavorare, col sudore della fronte; solo in questo è
il fine e il senso della sua esistenza, la sua felicità, la sua soddisfazione.
Ah, come vorrei essere un manovale che spacca le pietre, all’alba, su una
strada, o un pastore, o un maestro con i suoi scolari, o un macchinista sulla
locomotiva! Dio, a che serve sennò essere uomini?
Olga s’avvicina a Andrej che le passa Mascia e, mentre
questi se ne va nella prima e quinta stanza, lei sulla soglia, fa finta che
questa le parli all’orecchio e lei riferisce
Olga – Cosa? Ti hanno sposata a diciott’anni? Avevi il
terrore di tuo marito? Perché era professore e tu avevi appena finito il corso?
T’appariva colto, intelligente, importante. E ora? Ora? Mascia, dì, ora non
più? Mascia, Mascia, Mascia!!! Voglio confessarvi una cosa, care sorelle. Se no
sto troppo male! Lo confesserò solo a voi, poi non dirò più niente a nessuno,
mai…Adesso, subito…E’ il mio segreto, ma voi dovete saperlo…Non posso più
tacere…Sono innamorata, innamorata
Olga – Smettila. Io non ti sto a sentire.
Mascia – Che fare? In principio mi pareva un tipo
strano, poi m’ha fatto pena, poi me ne sono innamorata…Mi sono innamorata della
sua voce, dei suoi discorsi, delle sue disgrazie…
Olga – Non ti sto a sentire. Puoi dire tutte le stupidaggini
che vuoi, non ti sto a sentire.
Mascia – Fammi il favore, Olga! Amo: vuol dire che è
il mio destino, la mia sorte vuole così…anche lui mi ama. Tutto questo fa
paura. Vero? Molto immorale? Quando leggi un qualsiasi romanzo, ti sembra tutto
vecchio, facile, comprensibile, tutto già risolto, ma quando capita a te,
t’accorgi che nessuno sa niente e che ognuno deve cavarsela da solo…Mie care
sorelle…la mia confessione l’ho fatta, e adesso, silenzio, d’ora in avanti,
come il pazzo di Gogol silenzio…silenzio
Irina s’affianca a Olga e le dice in faccia:
Irina – Sì, vendere tutto, e via, a Mosca, a Mosca, a
Mosca!
Irina prende Mascia a Olga e insieme, mano nella mano,
si ritrovano nella stanza di mezzo, spalle contro spalle, Irina si porta
all’orecchio la bocca della pupa e dice:
Irina – Per me, l’uomo deve credere in qualche cosa, o
deve cercarsi una fede, se no la sua vita è vuota, vuota. Vivere e non sapere
perché volano le gru, perché nascono i bambini, perché in cielo ci sono le
stelle…O perché si sa perché si vive, o se no è uno scherzo…
Olga – Idiota!
Irina se la prende e attacca col tormentone
Irina – Sììììììììì! A Mosca! A Mosca! A Mosca!
Olga – Basta, su, basta!
Dalla prima stanza giunge il suono della chitarra
Olga – E’ Andrej che suona, nostro fratello. La musica
ha un ritmo allegro, coraggioso, dà voglia di vivere. Dio mio! Vivere, vivere!
Irina – Quando assaggi la felicità a singhiozzi, col
contagocce, poi la perdi, come me, per forza t’inasprisci, diventi una furia…Ho
l’inferno, qua dentro!
Olga – Il diavolo se li porti! Io non so più niente,
ho dimenticato tutto quello che sapevo, non mi ricordo più niente, va bene?
Niente! Non so più neanche se sono un essere umano. Forse non esisto. Magari
non esistessi, magari!
Irina si stacca, va sulla soglia e dice:
Irina – Magari!
Irina andando lascia cadere Mascia, Olga la raccoglie
e dice:
Olga – Tu sei stanca, povera anima, riprendi fiato,
siediti.
Olga rivolta a Irina:
Olga – Tu sei pallida pallida…
Irina – Dove se n’è andato tutto quello che speravo?
Dov’è? Io ho dimenticato tutto, tutto…Ho una gran confusione nella testa. Non
so più neanche come si dice finestra o soffitto in italiano…Dimentico tutto,
ogni giorno dimentico, e la vita se ne va, e non tornerà mai, mai e noi non
andremo mai a Mosca…Lo vedo, non ci andremo mai…
Olga – Non piangere, bambina mia, non fare così…Mi fai
male
Andrej – Leggevo, giorni fa, un diario scritto in
carcere da un ministro condannato per le solite faccende. Con che amore, con
che entusiasmo descriveva gli uccelli che vede dalla sua cella, e della cui
esistenza quando era ministro non si era mai accorto. Ora è in libertà: tornerà
a non accorgersene. Così Irina, quando vivrà a Mosca non se ne accorgerà. La
felicità non c’è, quando c’è vola via: possiamo solo desiderarla. La vita
resterà sempre la stessa, fatica, mistero e felicità. E fra mille anni l’uomo
sospirerà: “Ah, che pena vivere!” ma avrà paura di morire, proprio come adesso,
e si aggrapperà disperatamente alla vita.
Andrej si sposta, nella stanza di mezzo, riprendendo a
suonare la chitarra e preparandosi alla nevicata.
Olga – Già. Ma bisogna vivere, bisogna vivere!
Irina – Verrà il giorno che tutti sapranno, non ci
saranno più misteri, un giorno, ma intanto bisogna vivere, lavorare! Domani
partirò da sola, andrò in quella scuola a insegnare e dedicherò la mia vita a
chi forse è necessaria. E’ inverno, fra poco saremo sommersi dalla neve, ma io
lavorerò, lavorerò!
Olga – La musica dà voglia di vivere! Dio mio! Un
giorno ce ne andremo anche noi, per sempre, ci dimenticheranno, dimenticheranno
i nostri volti, le nostre voci, quante eravamo, quante eravamo? Oh, sorelle
care, non è finita, la nostra vita! Vivremo! La musica suona struggente, e
sembra che da un momento all’altro sapremo perché viviamo, perché soffriamo…Oh!
Poter sapere, poter sapere! E ora, ognuno a casa sua.
Andrej – Olga Sergeevna! (chiama dalla stanza di
mezzo, già pronto per la nevicata, a cavalcioni
sulla scala)
Olga e Irina lo raggiungono,
Olga – Cosa? Che c’è?
Andrej – Niente, non fa niente! E’ lo stesso!
Olga e Irina si sistemano, nevica.
Andrej – Quando la smetteremo di fare i bambini, di
guardarci come cani e gatti, senza nessuna ragione…Spieghiamoci, una volta per
tutte. Be’ non parli Olga? Parlerò io. Fra un milione di anni la vita sarà
sempre com’era una volta; non cambierà, resterà sempre uguale, seguendo le sue
proprie leggi, che non riguardano noi, e che non potremo mai conoscere. Gli
uccelli migratori, le gru, volano, volano. E quali che siano i pensieri sublimi
o meschini, voleranno sempre, senza sapere mai perché, né dove sono diretti.
Volano e voleranno: a dispetto dei più grandi filosofi che possano nascere.
Facciano pure tutta la filosofia che vogliono, purché volino.
Olga – E il senso di tutto questo?
Andrej – Il senso? Nevica…che senso ha?
Olga – Poter sapere, poter sapere…
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