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Fame

Le regole ci stanno per essere infrante, sia chiaro.
Non andrò in Paradiso, meglio, mi farei due palle così, ma sono una grande attrice, non credetemi! All’Inferno, all’Inferno!
Ci sono abituata d’altronde. Sì, anche se è vero che la vita è meravigliosa, grazie Clarence!, è vero pure che il mondo è immondo.
Come sopportare a braccia conserte la povertà dei più? La miseria vera, la fame, il freddo, la malattia senza poter comprare medicine, nessun diritto.
Tutto al rovescio, mi sento a testa in giù, bisogna cambiare tutto. Il sogno di una cosa, il comunismo, dice quello, è come prima di farsi la prima sega, la sega prima di farsi la sega. Il vero amplesso è l’Anarchia! Godi Popolo!
Non avremo niente, niente. In verità tutto. Alleluja! Santa Anarchia. Santa Pace, unica legge, l’Amore. Sarete sempre più poveri e perciò sempre più individualisti, individualismo becero, quello del si salvi chi può. Quello che trasforma le persone in gente; persone, nient’altro che creature mascherate, ma gente è peggio perché salvarsi a ogni costo equivale a mors tua vita mea.
Ecco, la gente sta all’opposto del pacifista anarchico, uno che parla solo di vita: vivi e lascia vivere! Di più, vivi e aiuta a vivere perché la vita sì, è un circolo virtuoso, cosa meravigliosa, grazie Clarence!
Sono meravigliosamente malata di altruismo. Santo Altro. Sia chiaro, non le masse, ma la creatura, il fanciullino che siamo stati tutti…e ancor non m’abbandona (sic)! Quando due o tre di voi, saranno insieme nel mio nome, Io sarò tra Loro. Non un povero Cristo qualsiasi, ma la Verità Vera, il Figlio dell’Uomo, Gesù.
D’io non è Dio, ma è l’unico che possa stargli al cospetto. In me, moi, la Grazia è già stata: me, moi, è un d’io che torna dall’essere stato di fronte a Dio.
Un umile, un persuaso. Per un po’ vivrà immerso nella Grazia, rifuggirà il mondo, soprattutto i monnaroli.
Un amico nemico dice che quando la jella m’incontra si tocca: carino, da cabaret sadico. Non lo pratico, troppo sarcastico, a me s’addice l’ironia spietata. Per esempio, autoriflettendo, je m’appelle Superpippa; oppure, riflettendo, chiamare un amore Jimmy Domani in quanto depresso cronico, magari pure schizofrenico, forse solo un ragazzo, e allora ebefrenico, Amore e cura possono guarirlo ancora.
Ah, la depressione, la depressione. Tutti depressi, io sola compressa: pijate ‘na pastiglia sient’a mme!
Tonta come una dolce Euchessina, finisco per peccare anch’io, di yubris, nient’altro che tracotanza da bassifondo, eredità di mon per. A volte, bazzico i fondali, nuoto rasente alla sabbia, tinca che non sono altro. Ah l’Altro, l’Altro che torna e non torna.
Forse la schizofrenia nasce da una gran solitudine: essere in due, in tre, per essere insieme. Inventarsi identità, altri sé, appunto. Quando due o tre di Voi…A rigor di logica, da soli, non s’è manco buoni cristiani: Clov? No, sono sola. Hamm, Fin de partie. Lo incontrai a vent’anni e capii che l’unica illusione di farla alla realtà a me vicina era il teatro. Farla alla realtà che ci trascende, ovvero la volontà di sette miliardi di creature.
Così la realtà la si lascia ai fessi, vedi scissi, e quanto a sé, s’impersona il fool, l’idiota, s’intrattiene la verità.
Trattenerla è altra cosa, cosa grossa. Lasciarsene invadere a discapito dell’orgoglio, malgré d’io; lasciarsene infiammare d’un foco lento lento, ma inesorabile, continuo, costante. Un focherello che fa insonni, inappetenti quanto basta.
D’altronde i santi digiunavano e pare manco si lavassero. Piccola eretica, dicono di me, piccola eretica, proprio così.
Finirò come Ulisse che se magnò er gatto e nu’ lo disse. Nessuno accecherà Polifemo; nessuno riempirà d’armati il ventre del cavallo. Nessuno. Nessuno varcherà le Colonne d’Ercole, nessuno. Nessun dorma. Il nome mio nessun saprà, mai iam: Edda Gaber, Emilie Rousseau, chi sia io nessun sa. La figlia di Maman e Papà, anche i mostri sono figli, di mostri of course.
La retorica della maturità quale presunta genitorialità di se stessi è stucchevole; l’ho pensata di me e la rinnego: è una boiata pazzesca.
Molto meglio il gran rifiuto, rifiutare l’adultità, capitolare dinnanzi alla propria irriducibile immaturità, Santa Adolescenza, mai perduta, mai! Benedetta primavera, prima vera, stagione di tuffi! Da allora non smisi mai l’arte del trampolino e nei giorni di maggior coraggio dalla piattaforma. Tuffarsi nell’espressività, direbbe la Toledana.
Perlopiù vampirizzo, dalla vita alla pagina. Far ordine, un canone inverso e invertito: il dolore? Soffrilo e poi impara, dice il cantore, imparalo a cantare.
Scrivo su un quadernuccio di carta riciclata, ogni mattina dalle nove alle undici, per cominciare; poi fino alle tredici, quattordici: costante come il foco lento lento che così poco tempo riesco a intrattenere.
I miei fogli ritmici, non sapevo d’avere una madre, la Toledana. Il libro più importante è quello che fa da specchio, quello che rimanda a ciò che sei. La Toledana, c’est moi. Non parlo tanto della Storia, quanto del pensiero, quel vacuo senso sotteso che nel suono ci sia il senso, e viceversa ma anche versavice.
Parlo di scrittura, segno, perché la vida oltre il sonno-sogno, è segno, segno! Ecco che la piccola vida si profila, amori complicati, odi semplici, annacquati in idiosincrasie. Amor d’espressività pagata con la miseria, quella vera. Miseria da penultima.
Da penultima, mi occupo, senza preoccuparmi, degli ultimi. La verità di chi reca un bisogno universale, una casa, cibo, dignità di cittadino; non dover temere il braccio armato della legge perché indebitamente sul nostro patrio suolo. La Patria, altro errore/orrore; tanto il mondo, er monno, è e resta dei monnaroli, gente. Le persone stanno scomparendo: aiuto!
Tento d’impedirne la metamorfosi, pare sempre più veloce, in gente: salmoni che risalgono la corrente per andarsi ad accoppiare e poi crepare.
Io tinca, Cassandra dei salmoni, a furia di urlargli il pericolo, mi riempio la bocca di sabbia. Chissà se davvero il teatro è l’Elisir, l’Arte più effimera come antidoto a una vita da salmoni. Da tinca, bazzicando i fondali, incontro pescetti piccoli piccoli, creature affamate di giustizia. Tutto cambiare, todos avec todos: dare ai pescetti inermi, sempre alla mercé dei pesci grossi, un po’ del grasso dei salmoni. Redistribuzione del reddito, è troppo futuro? Altro che riconoscenza allo Stato e alla Chiesa: Santa Pace, sorella Anarchia! Il pane dell’amicizia, tanti, tutti figli dell’Uomo. Al solicello caldo di quasi marzo scrivo sul quadernuccio con la cana ai piedi. E’ tutto un cinguettare, tempo d’Amore.
Il mio è un amore semplice e complicato, a volte è bello da non credere, altre strazia. Quella notte straziò, e ora m‘accorgo che a poco son valsi i bacetti teneri teneri di poi. Se ci si sveglia straziati è perché strazio è stato, nonostante i bacetti. Piccola vendetta da piccola eretica, le regole, quando sono ingiuste e sbagliate, sia chiaro, son per essere infrante.
Qual è l’etimologia di amor amoris?
M’azzardo: alfa privativo e mos moris, abitudine, costume sempre uguale, alla base della nostra morale, quindi, a rigor di etimologia, Amore è un senza tetto né legge, un fuorilegge. O è troppo azzardo?
Marguerite Yourcenar fa dire al suo Adriano che non il potere, non il prestigio, non l’Impero sono importanti, importante è l’Amore non corrisposto come uno dei più grandi dolori insieme all’insulto del Tempo. Ecco perché Cyrano reca un dolore vero, da sublimare fino alla morte o finché non cominci a far male.
Roxane di contro è l’amor proprio, la credulità; e Cristiano è l’amor carnale, poca cosa se non essenziale.
La gente parla, parla e non s’accorge di non dire niente. A me basta una sintesi e scrivo un pezzo di teatro: nel paniere da Cappuccetto Rosso pane e tesi, antitesi e marmellata. A me basta poco per essere felice, o teatro. Benedetto Teatro!
Nel tentativo, nouvelle Arcitruffatrice - arcituffatrice – Coraggio, di rimediare denaro per allestire “Cyrano demonique, ovvero l’amour ridicule”, prevedendo, dei matiné per le scuole, mi sento chiedere: che ricaduta sociale ha il suo progetto? Cristo Santo!
Ma vi rendete conto?!? Ai greci del V° secolo avanti Cristo, gli odiati amati ateniesi, parteggiando io per i laconici spartani, premeva la catarsi, non la ricaduta sociale.
E anche se fosse, vuoi mettere un Bingo o il biliardo o la discoteca con una mattina trascorsa magari all’Argentina, e uscirne con la consapevolezza che il teatro è cosa viva perché si è riso e si è pianto.
La ricaduta sociale, questo si chiede al teatro, ebbene, anche fosse, in profondità il teatro è cosa della società e ogni spettacolo dovrebbe fare da specchio: guardati Popolo! Godi Popolo! Aiuto!
Tento di oppormi, tinca in retromarcia sull’autostrada dei salmoni: no!
Non cedete, personcine belle, al richiamo della gente, state attenti, i luoghi comuni sono tali perché affollati. A stare nella mischia ci si mischia, ci si sbiadisce, si finisce per pensare che no, non siamo noi stessi preposti a pensare, esistono i preposti al pensiero e così, inevitabilmente, a tutto il resto.
S’inaugura così l’Era della Delega; qui c’è puzza di mala democrazia, no? Sì!!! Grazie Clarence. Ecco, un angelo, tutto rovesciare, tutto; idea weiliana: paracadutare un angelo per ogni migrante. Quanti sono gli italioti? Sessantuno milioni? Ebbene inventarsi un tour d’Italie virtuoso: a turno, ciascun italiano, potrebbe prendersi cura per un po’ di un senza fissa dimora, di un affamato.
Quanti sono i migranti qui? Due milioni? Sarebbe un gioco da ragazzi, e ancora, l’elogio del fanciullino. Grazie Clarence!
Un angelo alla mia tavola, essere degni del dono dell’ospitalità: oggi è domenica, santifico la festa offrendo la mia doccia a un poveraccio, uno con una brandina nell’angolo di un garage, giusto un lavandinetto per sciacquarsi mani e viso, un cesso zozzo, e basta.
Poi dice che non t’infuri: c’è chi ha case e case, chi, solo e triste, vive in centinaia di metri quadri, perché? Perché?!?
La furia, il rischio è di tornare tinca da fondale, da bassifondo, conosco la trivialità, humani nihil a me alienum puto. Meglio umana? Sì, se l’umanità perdesse l’accento, se lasciasse il quieto vivere come unico; se accettasse l’inquietudine come risultante di un equilibrio per definizione precario, una perenne microscillazione; se vivesse per Amore, solo per Amore. Allora sì, meglio umana che tinca, anzi meglio trota! Schubert…Musica! L’unica vera invenzione dell’uomo, in potenza, il resto, c’era tutto. Anche se c’è chi parla di musica delle Sfere, idea sublime.
Soffro di misantropia, lo confesso, è che lo vorrei teso alla perfezione il mio prossimo, operoso, intento alle cose importanti, fedele, tenace, coraggioso. E forse…
Cari salmoni, comunque pescetti, mannaggia li pescetti, che tenerezza!
L’Arte è l’unica medicina e forse fare con Amore è trasformare la prassi in mistero. Grazie Clarence! Sì, evitare l’abitudine delle coppie borghesi; evitare l’alienazione da
ripetizione in teatro come in fabbrica, melium evitare quam deficere, scarseggiare, letterariamente scarseggio.
La piccola eretica sa, ma non tutti i giorni le capita di raggiungere simili altezze, me, moi, petite chose. Mi cito, mi ricito, Cita c’est moi.
No, meglio tinca, con salmoni e rare pacifiche trote, tutti nella rete.
In quanto tempo è successo tutto questo, la rete? Quanto poco è bastato per smettere di scriversi a mano, quanto per essere un pescetto nella rete? Una mutazione.
Ecco, le persone in gente, l’incubo che torna: aiuto, aiutatemi ad aiutarvi a non cedere, personcine belle, alla tentazione del luogo comune, della pazza folla, del banco di salmoni che risalgono, risalgono, godi Popolo!
No, non cedete, per carità, finirò sola sennò, una tinca a cui unica salvezza fu l’essere asessuata, come sempre s’era sentita dire. Magari con rispetto, ma sempre la stessa insinuazione: non hai sessualità, una macchia bianca, dissociata dall’idea di Bene e pertanto orribile, terribile, ob-scena, ob-scema.
Una macchia bianca…eppure, non è forse desiderio quel languore che piglia innanzi Amore? Quel voler abbracciare e bacetti, tanti. Non è forse desiderio quel che trasformo in teatro? O’teatro!
E la cura, la cura che mi prendevo del mio Amore?! Lo nutrivo, l’ospitavo, l’accudivo… Siate bellissimi, diceva la Pina ai suoi danzatori, bellissimi.
Io sono inguardabile, Maldoror da sempre, maschera tragicomica; eppure quando sorrido m’illumino ancora, la luce ancor non m’abbandona. Grazie Clarence! Nient’altro che un angelo; voi pescetti, ci credete agli angeli? A me sono apparsi, più d’una volta; parlano chiaro, una lingua semplice eppure viscerale, dicono l’inesprimibile. I pensieri più riposti, segreti interdetti a se stessi, in bocca loro, bocca rua santa, si fanno semplici semplici. A periodi, giorni di fiamma altissima, mi vengono a trovare: è la luce ad attirarli, il calore del foco lento lento.
Di me dicono pure che parlo con sarcasmo, nulla di più inverosimile, la mia è ironia spietata, in primis versus me misma, autoironia feroce senza la quale, data, finora, cotanta vita in un mondo grigio, sarei morta già.
Tutto si può dire, con garbo, l’importante è che suoni e, sembra incredibile, se suona allude. L’allusione è come dire metafora, solo che la metafora è l’unità di misura del teatro, mentre l’allusione lo è della mistica. E’ come dire metonimia, ma si tira in ballo la letteratura; è come dire analogia, e ci si appella alla poesia; è dire similitudine, allegoria ed è ancora poesia; è dire proporzione e si fa geometria. E’ stato detto che i Greci si proibirono l’algebra, non che non ci fossero arrivati, se la proibirono pur di continuare a parlare per immagini, mi dico.
Certo che la tiratina sulle unità di misura questo vuol dire: che l’Arte parla tutta per immagini; voi pescetti direte e che ci azzeccano mistica e geometria con l’Arte? E
all’apparenza, pescetti miei, avreste colto nel segno, e invece siete dei mentecatti, perché il Santo ha visioni, uno su tutti, San Giovanni della Croce; e il matematico ragiona sui volumi, comunque immagini.
Se rinasco, rinasco cantante e scrittrice, ché non cambierei la mia espressività con nessun posto fisso, fossi costretta a reincarnarmi ancora e ancora.
Dio ama chi osa, senza esagerare, allora d’io ardisce e s’infoca.
Aiuto, aiutatemi ad aiutarvi, personcine belle, a ché la mutazione, più terribile d’una nube purpurea, s’arresti! E cali il silenzio sull’ossessiva domanda che mi agita il cervello e che suona: io proprio io perché?
Personcine belle state attente, la televisione fa male, e così tutti i mezzi di comunicazione, radio compresa. La Rete, pescetti belli, Internet, la democratizzazione del sapere, siete poi così certi sia un Bene? Quale sistema, oltre la democrazia, unico ipocrita nel cuore del quale s’è sistemata l’oligarchia, vi è dato paventare, pescetti miei?
O creature, aiutatemi ad aiutarvi: evitate gli universi concentrazionari e concentrazionali, la verità è nei boschi, nel mare, nei laghi, nei fiumi…E voi, salmoni, sareste capaci di dire, ma come, non riesci a mettere insieme il pranzo con la cena e pretendi d’avere voce, tinca che altro non sei, mangiasabbia che altro non sei, mangiasabbia!
Calma, calma, se un tempo avrei risposto, troppo difficile, oggi mi basta un, appunto. La Fame per mancanza di reddito può, con Arte, essere fatta simile al digiuno dei Santi, grazie Clarence! E il digiuno porta consiglio: redistribuzione del reddito!
La fame mia è il mio Amore forte come la morte, la Santa Pace, tanti figli dell’Uomo, degni del cospetto di Dio. Dignità, cari pescetti, ci avete mai pensato che la dignità l’hanno inventata i pesci grossi per mangiarvi meglio in tutta calma, senza stressanti rincorse? Dice, sta fermo, si lascia mangiare, eh però con che dignità! Dignità, dignità, parola che fa il paio con ricaduta sociale! Ora m’infurio, m’infurio!
La fame porta consapevolezza: nel mondo dei figli dell’Uomo, si lavora un numero perfetto di ore, a piacere, minimo tre al giorno. Ovviamente esistono solo i mestieri utili, il resto è Arte. Nel mondo dei figli dell’Uomo, tutti si prendono cura di bimbi e vecchi: per il resto l’Arte la fa da padrona. Là, ciascuno ha tanto tempo che impiega come meglio crede nel rispetto della Santa Pace. Un mondo di figli, tutti reciprocamente attenti al fanciullino di ciascuno: quando parlano, parlano a lui. La fame porta visioni: nelle scuole dei figli dell’Uomo non s’insegna, ritenuto l’insegnare invasivo, violento; i docenti conducono bimbi e ragazzi all’apprendimento, sapendo i figli dell’Uomo che imparare è per sempre se si parla per immagini; più che insegnanti, si tratta di vere e proprie guide, esempi. Grazie Clarence!
E ‘che per me c’è solo spazio; è l’effetto del cu cu, l’uccellino della Vita: venne a trovarmi anni fa, disse, ehi, quanto tempo pensi d’avere ancora? Cosa hai fatto finora? Dove sei? Mi guardai alle spalle e non vidi nient’altro che un dolore di vuoto, sottovuoto.
D’allora non mi sono più fermata, in me il tempo era via, non avevo tempo per avere tempo. Epperò mi rimaneva spazio, il logos da nutrire, la parte destra che è bene nutra la sinistra, del cervello parlando. La sinistra, il Verbo, sempre alla fine, il figlio dell’Uomo, venuto da un altrove bello come la luce.
Grazie Clarence! Io sono la Via, Gesù lo dice, e aggiunge, la Verità, la Vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me.
A rigor di logica, la Verità è la risultante di un enigma: io, soggetto, s’ha da trasformare in me, moi, petite chose, per essere al cospetto del Padre, di Dio. Solo d’io merita Dio, tramite moi, nient’altro che un dolce accusativo, me. Da soggetto, un ostaggio, a oggetto, cosa.
Il sogno di una cosa, il sogno di una vita da sapere per un attimo, solo un attimo, vissuta; un barlume, hanabi di coscienza. Poi cambia tutto, il cu cu tornerà in primavera, ma a morire di maggio, ci vuole tanto, troppo coraggio: magari in scena, come Molière, morire di teatro, ma ricordate, sono una grande attrice, non credetemi! Tinca, tinca, nonostante tutto, cu cu! Ehi, tinca, cosa ti credi, di essere? Sì, nell’esperienza da soggetto a oggetto, io sono la via, una metamorfosi.
Quasi, come se, quale che…tutte parabole, anche Gesù parlava per immagini, grazie Clarence! Geometricamente poi, pura poesia: una curva interseca un piano, chissà se nell’equivalenza dei punti c’è da inscrivere una X, se sì, allora Gesù con la parabola avrebbe detto la verità in vita e inverato la sua morte.
O pescetti che nuotate nella rete, non credeteci, alla libertà di parola, ché se parlare è raro ed erotico, Amore appunto, il mio parlare sarà pure eretico ma le vostre son chiacchiere da bar.
O personcine belle, ne converrete, sul patrio suolo imperversa la cultura da bar, da aneddoto. Pensate alla televisione, o alla distanza che separa il macinare del cervello da un libro bell’e pronto, o di uno spettacolo al debutto: distanza, attrito, resistenza opposta dalla realtà all’inverarsi del desiderio.
Desiderio, bisogno, mancanza, fame, quant’è ricco il vocabolario, il mio tomo preferito: e sì, perché ogni parola è una cosa, ogni cosa ha un nome sotto il sole. Ecco perché, pescetti cari, voi avete smesso da un bel po’ la favella: le parole sono pietre, cose non chiacchiere, quelle si mangiano a carnevale.
La scrittura, per pudore dovrei dire l’espressività, scrittura è parola grossa, se poi la scrivi Scrittura, grossissima.
Tinca al verde, rossa d’amore, bianca come macchia, un tricolore, sa patriottarda.
E’ tardi? Era bello il sogno, ma l’allodola o l’usignolo, no, è il cu cu, primavera che tutto rifrange e infrange, onda che monda.
Aiuto, aiutatemi, odiati salmoni, aggiungete da par vostro un poco di grasso a questa mia prece: aiutatemi ad aiutarvi, pescetti miei, mi struggo di tenerezza per voi. Aiutatemi ad aiutarvi, pescetti cari, mi colmate il cuore di pena, tutti lì nella rete; aiutatemi a dirvi quanto è bella e vera e unica la via: allora la vita si fa teatro, cinema, letteratura. O personcine, il fiume scorre, lo so, tutto scorre e incanta nel fiume, ma pescetti ascoltatemi, tinca che non sono altro, sublimare è tutto.
Roba da alchimisti? E sia, ma sapeste l’illusione di farla alla realtà quanto è dolce, il naufragar. La vena infinita, alla bisogna.
Parlo metaforico, ma non lo faccio apposta, è la verità, anche se alla verità di noi non gliene frega niente! O pescetti, pescetti miei, mi si strazia il cuore a sapervi tutti nella rete; tutti presi a postare, gergo dell’autenticità, roba da nazisti, Adorno docebat, era il 1964, Jargon der Eugentlickeit. Nazisti, cultura da bar, l’autenticità come garanzia di un dire ispirato, pussa via nazisti!
Maldoror voglio essere, fino all’Inferno, fin qui cioè! Scusa Clarence! Cominciamo a fare un po’ di nomi e cognomi del patrio suolo italiota? Chi vi meritate in teatro, al cinema, in letteratura? Dei nazisti! Gente che crede nell’autenticità. Della propria ispirazione in primis, of course. Nazisti!
O pescetti, a invocarvi nel frattempo della vostra risalita, m’appare chiaro a un tratto che la visione della cultura da bar, nulla può, per trattenervi dal risalire e crepare: l’odore la vince, natura, ferormoni.
Maldoror riscrive Faust: o Natura, Natura, non ci fossero questi salmoni fra noi!
C’è chi fa fatica a dire io, figuriamoci noi. Forse Gesù odiava noi: dice io, voi, tu, loro, ma noi mai, mai!
Aiutami Clarence, sussurrami all’orecchio una visione da offrire ai salmoni, il sogno di una cosa più forte dell’olfatto, dell’odor di ferormone, più forte di Natura, più forte della morte, il Canto di tutti i Canti.
Eh Salmoni, vi ho visto, con le pinne, vi state tappando gli occhietti da pescetti! Vi ho visto, voi non volete più vedere, ostaggi delle salmonelle.
Non basta Clarence, opporre lo spettacolo, lo specchio, non basta, anzi, al guardo sì tremenda visione spaventa i pescetti. Sii più angelicamente terrestre Clarence! Sono stanca, voglio tornare ai tranquilli fondali, al mio nuoto metaforico; stanca di urlare a salmoni e salmonelle, stanca di vedere le personcine cadere nel mare della gente.
Sii ficcante Clarence!...oh pardòn! Sì vabbè l’ironia aiuta ma ora sono stanca Clarence, stanca: fa qualcosa!!! Rivela il mistero: non ho detto svela, ma ri-vela; offrimi un sudario, velo estremo a nostra cruda sorte…
Cu cu, voglio incontrare l’uccellino, stavolta saprei ben dire come ho messo a frutto il nostro primo incontro.
Corro, corro; non è che mi sbatta di qua e di là, corro dentro, trottola maschia squillo d’uomo, all’ambassi tu m’appunti, poi t’abbassi senza verso quasi stinto che m’espugni, districante sottosuolo perlomeno più distratto, meno perla per ridirla, hai distrutto o t’ha dissolto? Mostr’amata inossidabile al tardivo paraninfo, eco autunno è stato inverno, paradosso avvia l’inferno, fuggi tempo accorri alligna sinché incesto affreschi schiuma, monda onda, qui l’approda, indosso scomoda.
C’è da fare ancora? All’apparenza, ma essenzialmente?
All’uccellino chiederei di non reincarnarmi mai più, questa, sarà l’ultima volta che muoio, non se ne può più di morire.
Clarence non mi stai aiutando, non vedi che, tinca, annaspo controcorrente?
Rivoglio i bassifondi, triviali ma familiari, meglio tinca polemica che tinca stanca. Sono esausta Clarence, fa qualcosa! Cosa? Il sogno? Sì, il sogno del figlio dell’Uomo! Figuriamoci che caspiterina succederebbe se vincesse l’ama il prossimo tuo come te stesso. Mondo Iperuranio.
Ehi, salmoni e salmonelle, lo sapete che state cambiando colore? Sempre più grigio sullo smorto andante, noooooo!!!
E’ che vi hanno insufflato le tenebre nel cuore, siete ciechi ormai, tutti naso, anche se Clarence m’offrisse una visione paradisiaca voi non avreste più occhi, pescetti. Angelicamente, Clarence, sussurrami il tuo parlar chiaro ancora e ancora…Avess’io l’ale, anziché queste pinne da tinca, volerei su, come idea fra idee, Lighea: grazie Clarence! Lighea, una sirenetta esperta in glottologia, ecco.
Grazie Clarence, almeno, salvi me, usa a nuotare seguendo la corrente, senza risalire per ittiche e non umane acrobazie.

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